IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa civile iscritta al n. 1158/1987 r.g., chiamata all'udienza collegiale del 14 gennaio 1996 e pendente tra Carrozzo Cenzina, Ruggiero Elsa, Ruggiero Wanda, rappresentati dall'avv. C. Tatarano attrici e il comune di Francavilla Fontana rappresentato dall'avv. G. Di Noi convenuto. In fatto Con atto notificato il 6 maggio 1987, Carrozzo Cenzina e Ruggero Vanda, la prima usufruttuaria per un terzo e gli altri comproprietari, pro quota ed in parti uguali, del suolo sito nel comune di Francavilla Fontana, alle part. 11149, foglio 118, particelle 101 e 178, estese rispettivamente are 0.40.62 e 0.15.60, esponevano quanto segue: il comune di Francavilla Fontana, con delibera del consiglio comunale n. 17 del 17 febbraio 1980, aveva approvato il progetto esecutivo della costruzione di una scuola materna, dichiarandone la pubblica utilita' ed urgenza ex lege e fissando in tre anni, a partire dal 1 ottobre 1980, i termini di inizio ed ultimazione delle espropriazioni e dei lavori; con delibera n. 1366 del 6 ottobre 1981, la giunta municipale dello stesso comune aveva stabilito di procedere all'occupazione d'urgenza ed all'immissione in possesso delle aree necessarie alla costruzione, site in via Cotogno e ricomprendenti le predette particelle di proprieta' delle attrici; contestualmente il sindaco era stato delegato all'emanazione di ogni atto esecutivo; in attuazione di cio' il sindaco di Francavilla Fontana aveva decretato l'occupazione d'urgenza in data 10 ottobre 1981, con provvedimento n. 174, nonche' l'immissione in possesso in favore del comune, in pari data, con provvedimento n. 175, assegnando il termine di tre mesi da tale data per l'inizio dell'effettiva occupazione e di cinque anni da quest'ultima per il completamento delle procedure di espropriazione; tanto premesso, le attrici soggiungevano che l'occupazione era gia' stata eseguita per mq 1858 e l'opera pubblica era gia' stata realizzata, mentre non risultavano determinate le indennita' di legge, ne' risultava emesso il decreto di espropriazione, pur essendo spirato il termine indicato nella delibera dichiarativa di pubblica utilita'; rilevavano essersi verificata la radicale ed irreversibile trasformazione dell'area occupata dall'opera pubblica (con la conseguente acquisizione della stessa al partimonio della p.a.), oltre all'asservimento ed allo svilimento di tutta la superficie pertinenziale e circostante; citavano il comune di Francavilla Fontana a comparire dinanzi a questo tribunale e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni, in misura pari al valore del bene espropriato alla data del 1 ottobre 1983, oltre rivalutazione ed interessi, nonche' al valore dei frutti maturati per tutto il periodo dall'inizio dell'occupazione fino al 1 ottobre 1983 o alla data dell'irreversibile trasformazione, sempre con rivalutazione ed interessi, ed infine il risarcimento del diminuito valore del suolo residuo. Con comparsa di risposta 10 luglio 1987, si costituiva il comune di Francavilla Fontana ed eccepiva l'avvenuto decorso del termine di prescrizione quinquennale; in particolare rilevava che, con delibera n. 17 del 17 febbraio 1980, il consiglio comunale aveva approvato il progetto per la costruzione della scuola, dando atto della corrispondente dichiarazione di pubblica utilita' e delegando al sindaco l'esecuzione di tutti gli atti necessari "alla immediata occupazione degli immobili", il sindaco, con atto del 18 giugno 1981, aveva emesso il decreto di occupazione ed urgenza e, con successivo decreto n. 156 del 25 giugno 1981, aveva designato le persone autorizzate ad immettersi nel possesso dei beni, le quali nel luglio successivo avevano provveduto a tale incombenza; successivamente, con delibera n. 1365 del 6 ottobre 1981 la giunta municipale, con i poteri del consiglio, aveva revocato la predetta delibera n. 17, nella parte in cui era stato conferito al sindaco l'ampio mandato di provvedere all'occupazione immediata dell'immobile; successivamente il sindaco con decreto del 7 ottobre 1981, prot. n. 19607, aveva revocato i precedenti decreti n. 151 e 156; inoltre la giunta, con i poteri del consiglio, il 6 ottobre 1981 aveva deliberato di procedere all'occupazione di urgenza ed all'immissione in possesso, demandando al sindaco l'emanazione di appositi decreti estensivi, cui il sindaco stesso aveva poi provveduto, emanando il nuovo decreto di occupazione di urgenza n. 174 del 10 ottobre 1981 e il decreto n. 175 del 12 ottobre 1981; rilevava inoltre il comune convenuto che, in realta', come dichiarato dall'attore stesso alla lettera a) dell'atto di citazione, l'occupazione era stata gia' eseguita in forza dei provvedimenti tutti poi revocati in sede di autoannullamento per illegittimita'; soggiungeva che, nel corso dell'anno 1981, l'impresa Valentini era stata immessa nel possesso del cantiere, aveva immediatamente provveduto alla realizzazione dell'opera, determinando in tal modo il prodursi del fatto illecito istantaneo, con effetti permanenti, che comporta l'automatica estinsione del diritto di proprieta' del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprieta' in capo all'ente costruttore, rendendo irrilevante l'eventuale successiva adozione del decreto di espropriazione; specificava che l'irreversibile trasformazione del suolo si era verificata verso novembre o dicembre del 1981, in occasione della realizzazione degli scavi, dei plinti e dei pilastri, e che pertanto la prescrizione quinquennale si era gia' compiuta alla fine del 1986; nel merito, contestava il quantum delle pretese risarcitorie delle attrici; chiedeva dichiararsi l'avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno ed, in via subordinata, ridursi congruamente il quantum delle pretese attoree ed infine condannarsi le attrici al pagamento delle spese processuali. Prodotta varia documentazione, esperita consulenza tecnica, la causa sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti era trattenuta per la definitiva decisione all'udienza collegiale del 15 gennaio 1996. In diritto E' pacifico fra le parti che, circa due mesi dopo l'emanazione del decreto di occupazione d'urgenza n. 174 del 10 ottobre 1981, e precisamente fra il novembre ed il dicembre del 1981, si erano verificate quelle trasformazioni del fondo occupato dalla p.a. (realizzazione dello scavo, dei plinti e dei pilastri), che ne rivelavano la destinazione alla realizzazione del manufatto edilizio progettato dalla p.a.; e' altresi' pacifico che successivamente l'opera pubblica in questione era stata ultimata, senza che fosse stato perfezionato il procedimento amministrativo e dunque senza emanazione di un decreto di espropriazione. Per usare la terminologia adottata dalla Corte costituzionale nella recente sent. n. 188 del 23 maggio 1995, si e' in presenza di "una vicenda fattuale di traslazione di un bene, con effetti sul piano giuridico (perdita del dominio da parte dell'originario proprietario ed acquisto della proprieta', sul bene medesimo, da parte dell'occupante, che lo ha utilizzato per soddisfare le esigenze dell'opera pubblica) sostanzialmente simili a quelli propri di una rituale espropriazione, ancorche' in questo caso manchino sia una formale procedura ed un provvedimento ablatorio, sia la previsione di legge in base alla quale il trasferimento coattivo puo' essere disposto, ed anzi tutta la dinamica di tali effetti e' contra legem". Si tratta del ben noto ed oramai tipizzato istituto (di creazione giurisprudenziale) della cosi' detta accessione invertita. Nel corso della evoluzione che la disciplina di tale istituto ha conosciuto (attraverso molteplici e spesso contrastanti pronunce dei giudici di merito e delle diverse sezioni della Cassazione), fra le questioni piu' ricorrenti e contrastate si pongono: a) la compatibilita' fra l'attivita' illecita posta in essere e l'effetto lecito, che dalla stessa si fa derivare, dell'acquisizione al patrimonio della p.a. della proprieta' privata illegittimamente occupata; b) la natura del diritto che sorge in capo al privato spogliato della proprieta': natura aquiliana o diritto di credito all'indennita' di espropriazione; c) regime di prescrizione del diritto di cui al punto b): quinquennale o decennale; d) decorrenza della prescrizione: dal verificarsi dell'irreversibile trasformazione del suolo, ovvero dal compimento del termine quinquennale di durata massima dell'occupazione temporanea. Appare opportuno premettere che, proprio alla luce di quanto affermato, in tema di decorrenza della prescrizione dalla Corte costituzionale con la gia' citata sentenza del maggio 1995 ("se la irreversibile trasformazione del suolo sia avvenuta temporalmente all'interno del periodo di legittima occupazione, poiche' e' solo allo scadere del termine stesso che si consuma l'illecito, il proprietario ben sa che e' quello appunto il dies a quo dell'azione risarcitoria", nella fattispecie che occupa, la prescrizione sembra dover decorrere dal quinto anno successivo al decreto di occupazione d'urgenza n. 174 del 10 ottobre 1981. Cio' rileva (incidenter tantum) ai fini dell'accertamento della rilevanza, rispetto al caso che occupa, dell'esame della legittimita' costituzionale di talune norme, la cui applicazione sarebbe superata pregiudizialmente da una diversa applicazione della decorrenza della prescrizione quinquennale. Nell'introdurre il riferimento alle norme che dovranno costituire oggetto del sindacato di legittimita' costituzionale, appare opportuno continuare a richiamare taluni dei principi confermati dalla recente sentenza n. 188/1995 della Corte costituzionale. La suprema Corte, dopo avere affermato che, nello schema tipico dell'occupazione acquisitiva posta in essere in assenza di un formale provvedimento ablatorio, l'intera dinamica degli effetti che ne derivano e' contra legem, ha ulteriormente chiarito che l'elemento qualificante della fattispecie e' l'azzeramento del contenuto sostanziale del diritto e la nullificazione del bene che ne costituisce oggetto, in conseguenza della materiale manipolazione dell'immobile nella sua fisicita', che ne comporta una trasformazione cosi' totale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione propria del fondo, il quale in estrema sintesi non e' piu' quello di prima. Poi la Corte costituzionale, entrando nel merito della compatibilita' fra il verificarsi di un fatto illecito ed il correlato prodursi di un effetto traslativo della proprieta', ha individuato, nella ricostruzione dell'accesione invertita, due ambiti (di fenomenologie ed effetti giuridici) distinti e separati: a) da una parte, la perdita dei caratteri e della destinazione propri del fondo, che si pone in rapporto di causalita' diretta con l'illecito della p. a.; b) dall'altra, l'acquisto, in capo alla medesima, del nuovo bene, risultante dalla trasformazione del precedente, acquisto che si configura invece come una conseguenza ulteriore, eziologicamente dipendente non dall'illecito, ma dalla situazione di fatto (realizzazione dell'opera pubblica con conseguente non restituibilita' del suolo in essa incorporato). La costruzione sistematica e' estremamente nitida ed induce infine la Corte costituzionale (nel motivare la compatibilita' dell'accesione invertita con l'art. 42 della Costituzione) a radicalizzare la contrapposizione fra la condotta di occupazione ed irreversibile manipolazione del suolo (cui consegue l 'estinzione del diritto di proprieta') che ha tutti i crismi dell'illecito e, per altro verso, l'acquisizione dell'opera di pubblica utilita' a vantaggio dell'ente pubblico, che realizza un modo di acquisto della proprieta', espressione concreta della funzione sociale della stessa. Da tale radicale contrapposizione concettuale si evince l'impossibilita' di confondere il momento dell'illecito, correlato alla perdita dei caratteri originari del suolo ed alla conseguente inutilizzabilita' dello stesso da parte del proprietario, con il momento traslativo della proprieta', attinente alla funzione sociale dell'opera pubblica e del terreno che definitivamente la incorpora. L'impossibilita' di una compenetrazione dell'ambito che attiene alla condotta illecita della p.a. con l'ambito attinente agli effetti leciti ed ablativi della proprieta' risulta inequivocabilmente confermata dal tipo di diritto che viene riconosciuto al privato in conseguenza degli effetti propri dell'accessione invertita: un diritto al risarcimento del danno per la responsabilita' aquiliana, in cui incorre quella p.a. che ha dato luogo alla perdita dei caratteri e della destinazione originari del fondo. Dunque la natura del diritto riconosciuto al proprietario non risente del parallelo e distinto ambito degli effetti leciti ed ablativi della proprieta'; ulteriore riprova di cio' e' il termine di prescrizione quinquennale attribuito, per costante giurisprudenza, al diritto di credito di cui diviene titolare il proprietario danneggiato dall'occupazione acquisitiva. In contrasto con tale ineccepibile costruzione sistematica, operata dalla sent. n. 188/1995 della Corte costituzionale, si pone l'art. 1 della legge n. 549/1995, nello stabilire: "il comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 359 e' sostituito dal seguente: le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo o del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". In forza di tale normativa, i criteri riduttivi di cui al citato art. 5-bis, gia' stabiliti per la determinazione dell'indennita' di espropriazione sono stati estesi alle ipotesi di risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva non ancora determinati in via definitiva. Il legislatore ha cosi' infranto il delicato equilibrio, individuato dalla Corte costituzionale, su cui poteva reggersi, in termini di compatibilita' costituzionale, la coesistenza della condotta illecita, posta in essere dalla p.a., con il correlato effetto lecito dell'ablazione della proprieta'. In particolare, e' stata normativamente compromessa quella necessaria distinzione fra il momento dell'occupazione ed irreversibile manipolazione del suolo (avente i crismi dell'illecito) ed il momento acquisitivo dell'opera pubblica (attinente alla sfera del lecito). Cio' attraverso il mutamento di fatto della natura del diritto di credito, che matura in capo al privato, con il passaggio dello stesso da una configurazione istituzionale di tipo risarcitorio (correlata alla responsabilita' aquiliana della p.a.) ad un ben diverso quadro di regolamentazione, tipico dell'indennita' da attivita' lecita', ovvero serio ristoro che viene assicurato in caso di espropiazione legittima (secondo i criteri riduttivi di cui al predetto art. 5-bis), e che nulla ha in comune con la funzione (di piena reintegrazione delle diminuzioni patrimoniali patite) propria del risarcimento del danno derivante da fatto illecito. Tale confusione, fra componenti normative proprie di istituti fra loro assolutamente incompatibili, si presenta esplicitamente espressa dal tenore letterale dell'art. 1 della legge n. 549/1995, nella parte in cui si dispone che i criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione, di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992, si applicano anche ai casi di determinazione del risarcimento del danno. La contraddizione che all'interno dell'ordinamento ne deriva e' stridente, venendo ad essere pregiudicata nei suoi fondamenti essenziali la netta distinzione fra la figura giuridica del risarcimento, consistente nella compensazione pecuniaria del danno (nella forma della piena reintegrazione per equivalente) o nella sua rimozione diretta (risarcimento in forma specifica) e la figura giuridica dell'indennizzo ex art. 42 della Costituzione, consistente in un serio ristoro, la cui entita', non necessariamente equivalente all'entita' della diminuzione patrimoniale patita, puo' mutare in relazione ai margini di discrezionalita' politica che competono al legislatore. Cio' che e' precluso al legislatore e' di contraddirsi nell'affermare, in prima battuta che il diritto di credito riconosciuto al privato nei confronti della p.a. ha natura di risarcimento del danno ed, immediatamente dopo, privare il titolare di tale diritto della correlata facolta' di conseguire l'integrale compensazione pecuniaria della diminuzione patrimoniale subita, gravandolo con una decurtazione sul quantum debeatur, che e' assolutamente incompatibile con il generale principio del neminem laedere. Tutto quanto fin qui esposto deve far ritenere, rispetto alla fattispecie che occupa, rilevante il sindacato di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 549/1995, nella parte in cui (riformulando il sesto comma, dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge n. 359/1992), con evidente riferimento alle fattispecie di "occupazione acquisitiva" (ovvero "accessione invertita") da parte della p.a., dispone che i criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione, dettati dall'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992, si applicano anche in sede di determinazione del risarcimento del danno. In particolare, con riferimento alla citata norma, che regola la dedotta fattispecie di occupazione acquisitiva consumata dal comune di Francavilla Fontana in danno delle attrici, deve ritenersi non manifestamente infondata l'illegittimita' costituzionale della citata norma, ponendosi la stessa in violazione delle seguenti norme costituzionali e dei relativi principii: 1. - Art. 3 della Costituzione. Per costante orientamento della Corte costituzionale, il principio di uguaglianza affermato dall'art. 3 e' un principio generale che condiziona l'intero ordinamento, in tutta la sua obiettiva struttura, ed e' espressione di un "generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo". Dunque anche la legge e' soggetta al principio di uguaglianza, nel senso della necessita' di una coerenza interna all'ordinamento. Sotto questo profilo, non puo' certamente considerarsi "coerente" affermare il diritto del proprietario ad essere risarcito del danno e nel contempo ridurre unilateralmente, in favore dello Stato, l'entita' della risarcibilita' di tale danno. Se il legislatore avesse inteso prendere posizione riguardo alla natura del diritto conseguente all'ablazione della proprieta' per effetto dell'accessione invertita, ritenendo quest'ultima attivita' non piu' illecita, ma legittima e produttiva del diritto all'indennita' di espropriazione, a cio' avrebbe dovuto procedere con coerenza sistematica, in primo luogo evitando di fare uso della formula letterale "determinazione... del risarcimento del danno" ed, in secondo luogo, chiarendo espressamente la natura del diritto in questione. Cio' avrebbe consentito peraltro di pervenire ad una appropriata determinazione del regime di prescrizione da applicare, che allo stato (alla luce della consolidata giurisprudenza, anche costituzionale) resta ancora quello della prescrizione quinquennale per i diritti di risarcimento del danno. 2. - Artt. 24 e 42 della Costituzione. La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita come diritto soggettivo e l'ordinamento assicura a tutti la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Alla stregua di cio', non si puo' affermare l'esistenza del diritto al risarcimento del danno (derivante dall'offesa arrecata al diritto di proprieta') e contestualmente privare il soggetto riconosciuto come titolare di tale diritto della possibilita' di una difesa sostanziale, che consista nella effettiva perseguibilita' di una piena reintegrazione pecuniaria (per equivalente) dell'intera diminuzione patrimoniale patita. Cio' priverebbe di effettivita' il diritto costituzionale, riconosciuto al cittadino, di vedere tutelati i propri diritti patrimoniali pregiudicati dal fatto illecito altrui. Inoltre il principio del neminem laedere verrebbe ad essere parzialmente svuotato della essenziale componente sanzionatoria, correlata all'affermazione del principio generale di piena responsabilita'. 3. - Artt. 28 e 113 della Costituzione. L'arbitraria riduzione dell'entita' del danno da risarcire al privato, i cui beni patrimoniali siano stati danneggiati per effetto di una condotta illecita della p.a., si traduce in una ingiustificata violazione del principio di piena responsabilita' civile della pubblica amministrazione (art. 28), nonche' della piena relativa tutela giurisdizionale. 4. - Artt. 10 ed 11 della Costituzione. La limitazione posta al concreto esercizio del diritto di difesa della proprieta' privata, rispetto ai fatti illeciti che ne compromettono l'integrita', viola la necessaria conformazione dell'ordinamento giuridico italiano alle "norme di diritto internazionale generalmente riconosciute" (art. 10), nonche' alle norme dettate dalle organizzazioni internazionali alle quali lo Stato italiano aderisce con limitazioni della propria sovranita' (art. 11). In particolare, si configura un evidente contrasto con le norme della Convenzione europea predisposte per la tutela dei diritti economici e di proprieta'. A tal riguardo, e' sufficiente rammentare quanto dispone l'art. 1 del protocollo addizionale di Parigi 20 marzo 1952 della Convenzione europea: "ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta', salvo che per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e principi generali del diritto internazionale". Tale norma ricalca l'art. 17 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: "ogni individuo ha diritto di avere una proprieta' sua personale o in comune con altri. Nessun individuo potra' essere privato della sua proprieta'".