IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale nella causa civile  iscritta  al  n.  1158/1987  r.g.,
 chiamata  all'udienza  collegiale  del 14 gennaio 1996 e pendente tra
 Carrozzo  Cenzina,  Ruggiero  Elsa,  Ruggiero  Wanda,   rappresentati
 dall'avv.    C.  Tatarano  attrici e il comune di Francavilla Fontana
 rappresentato dall'avv. G. Di Noi convenuto.
                               In  fatto
   Con  atto  notificato  il 6 maggio 1987, Carrozzo Cenzina e Ruggero
 Vanda,  la  prima  usufruttuaria   per   un   terzo   e   gli   altri
 comproprietari,  pro  quota  ed  in  parti uguali, del suolo sito nel
 comune  di  Francavilla  Fontana,  alle  part.  11149,  foglio   118,
 particelle  101  e 178, estese rispettivamente are 0.40.62 e 0.15.60,
 esponevano quanto  segue:  il  comune  di  Francavilla  Fontana,  con
 delibera  del  consiglio  comunale  n. 17 del 17 febbraio 1980, aveva
 approvato il progetto  esecutivo  della  costruzione  di  una  scuola
 materna,  dichiarandone  la  pubblica  utilita'  ed urgenza ex lege e
 fissando in tre anni, a partire dal 1  ottobre  1980,  i  termini  di
 inizio ed ultimazione delle espropriazioni e dei lavori; con delibera
 n.  1366 del 6 ottobre 1981, la giunta municipale dello stesso comune
 aveva   stabilito   di   procedere   all'occupazione   d'urgenza   ed
 all'immissione  in  possesso  delle aree necessarie alla costruzione,
 site in via  Cotogno  e  ricomprendenti  le  predette  particelle  di
 proprieta'  delle  attrici;  contestualmente  il  sindaco  era  stato
 delegato all'emanazione di ogni atto esecutivo; in attuazione di cio'
 il sindaco  di  Francavilla  Fontana  aveva  decretato  l'occupazione
 d'urgenza  in data 10 ottobre 1981, con provvedimento n. 174, nonche'
 l'immissione in possesso in favore del  comune,  in  pari  data,  con
 provvedimento  n. 175, assegnando il termine di tre mesi da tale data
 per  l'inizio  dell'effettiva  occupazione  e  di  cinque   anni   da
 quest'ultima  per il completamento delle procedure di espropriazione;
 tanto premesso, le attrici soggiungevano che l'occupazione  era  gia'
 stata  eseguita  per  mq  1858  e  l'opera  pubblica  era  gia' stata
 realizzata, mentre  non  risultavano  determinate  le  indennita'  di
 legge, ne' risultava emesso il decreto di espropriazione, pur essendo
 spirato  il  termine indicato nella delibera dichiarativa di pubblica
 utilita'; rilevavano essersi verificata la radicale ed  irreversibile
 trasformazione   dell'area   occupata  dall'opera  pubblica  (con  la
 conseguente acquisizione della  stessa  al  partimonio  della  p.a.),
 oltre  all'asservimento  ed  allo  svilimento  di tutta la superficie
 pertinenziale  e  circostante;  citavano  il  comune  di  Francavilla
 Fontana  a  comparire  dinanzi  a questo tribunale e ne chiedevano la
 condanna al risarcimento dei danni, in misura pari al valore del bene
 espropriato alla data del 1  ottobre  1983,  oltre  rivalutazione  ed
 interessi, nonche' al valore dei frutti maturati per tutto il periodo
 dall'inizio  dell'occupazione  fino  al  1  ottobre  1983 o alla data
 dell'irreversibile  trasformazione,  sempre  con   rivalutazione   ed
 interessi,  ed  infine il risarcimento del diminuito valore del suolo
 residuo.
   Con comparsa di risposta 10 luglio 1987, si costituiva il comune di
 Francavilla Fontana ed eccepiva l'avvenuto  decorso  del  termine  di
 prescrizione  quinquennale; in particolare rilevava che, con delibera
 n. 17 del 17 febbraio 1980, il consiglio comunale aveva approvato  il
 progetto   per   la   costruzione  della  scuola,  dando  atto  della
 corrispondente dichiarazione di  pubblica  utilita'  e  delegando  al
 sindaco  l'esecuzione  di  tutti  gli  atti necessari "alla immediata
 occupazione degli immobili", il sindaco, con atto del 18 giugno 1981,
 aveva emesso il decreto di occupazione ed urgenza e,  con  successivo
 decreto  n.  156  del  25  giugno  1981,  aveva  designato le persone
 autorizzate ad immettersi nel possesso dei beni, le quali nel  luglio
 successivo avevano provveduto a tale incombenza; successivamente, con
 delibera  n.  1365  del  6  ottobre  1981 la giunta municipale, con i
 poteri del consiglio, aveva revocato  la  predetta  delibera  n.  17,
 nella  parte in cui era stato conferito al sindaco l'ampio mandato di
 provvedere  all'occupazione  immediata dell'immobile; successivamente
 il sindaco con decreto del 7 ottobre  1981,  prot.  n.  19607,  aveva
 revocato  i precedenti decreti n. 151 e 156; inoltre la giunta, con i
 poteri del consiglio, il 6 ottobre 1981 aveva deliberato di procedere
 all'occupazione di urgenza ed all'immissione in possesso,  demandando
 al sindaco l'emanazione di appositi decreti estensivi, cui il sindaco
 stesso aveva poi provveduto, emanando il nuovo decreto di occupazione
 di  urgenza  n.  174  del  10 ottobre 1981 e il decreto n. 175 del 12
 ottobre 1981; rilevava inoltre il comune convenuto che,  in  realta',
 come  dichiarato  dall'attore  stesso  alla  lettera  a) dell'atto di
 citazione,  l'occupazione  era  stata  gia'  eseguita  in  forza  dei
 provvedimenti  tutti  poi  revocati  in  sede di autoannullamento per
 illegittimita'; soggiungeva che, nel corso dell'anno 1981,  l'impresa
 Valentini   era  stata  immessa  nel  possesso  del  cantiere,  aveva
 immediatamente provveduto alla realizzazione dell'opera, determinando
 in tal modo il prodursi del fatto illecito  istantaneo,  con  effetti
 permanenti,  che  comporta  l'automatica  estinsione  del  diritto di
 proprieta'  del  privato  e  la  contestuale  acquisizione  a  titolo
 originario  della  proprieta'  in capo all'ente costruttore, rendendo
 irrilevante  l'eventuale   successiva   adozione   del   decreto   di
 espropriazione;  specificava  che  l'irreversibile trasformazione del
 suolo si era verificata  verso  novembre  o  dicembre  del  1981,  in
 occasione della realizzazione degli scavi, dei plinti e dei pilastri,
 e che pertanto la prescrizione quinquennale si era gia' compiuta alla
 fine  del  1986;  nel  merito,  contestava  il  quantum delle pretese
 risarcitorie   delle   attrici;   chiedeva   dichiararsi   l'avvenuta
 prescrizione  del  diritto  al  risarcimento  del  danno  ed,  in via
 subordinata, ridursi congruamente il quantum delle pretese attoree ed
 infine condannarsi le attrici al pagamento delle  spese  processuali.
 Prodotta  varia documentazione, esperita consulenza tecnica, la causa
 sulle  conclusioni  rassegnate  dai  procuratori  delle   parti   era
 trattenuta  per la definitiva decisione all'udienza collegiale del 15
 gennaio 1996.
                              In  diritto
   E' pacifico fra le parti che, circa due mesi dopo l'emanazione  del
 decreto  di  occupazione  d'urgenza  n.  174  del  10 ottobre 1981, e
 precisamente fra il novembre  ed  il  dicembre  del  1981,  si  erano
 verificate  quelle  trasformazioni  del  fondo  occupato  dalla  p.a.
 (realizzazione dello scavo,  dei  plinti  e  dei  pilastri),  che  ne
 rivelavano  la destinazione alla realizzazione del manufatto edilizio
 progettato dalla  p.a.;  e'  altresi'  pacifico  che  successivamente
 l'opera  pubblica  in  questione  era stata ultimata, senza che fosse
 stato perfezionato il  procedimento  amministrativo  e  dunque  senza
 emanazione   di   un   decreto  di  espropriazione.    Per  usare  la
 terminologia adottata dalla Corte costituzionale nella recente  sent.
 n. 188 del 23 maggio 1995, si e' in presenza di "una vicenda fattuale
 di  traslazione  di un bene, con effetti sul piano giuridico (perdita
 del dominio da parte dell'originario proprietario ed  acquisto  della
 proprieta',  sul  bene  medesimo,  da parte dell'occupante, che lo ha
 utilizzato  per   soddisfare   le   esigenze   dell'opera   pubblica)
 sostanzialmente simili a quelli propri di una rituale espropriazione,
 ancorche'  in  questo  caso  manchino sia una formale procedura ed un
 provvedimento ablatorio, sia la previsione  di  legge  in  base  alla
 quale  il  trasferimento coattivo puo' essere disposto, ed anzi tutta
 la  dinamica di tali effetti e' contra legem". Si tratta del ben noto
 ed oramai tipizzato istituto (di creazione  giurisprudenziale)  della
 cosi'  detta accessione invertita.  Nel corso della evoluzione che la
 disciplina di tale istituto ha conosciuto  (attraverso  molteplici  e
 spesso  contrastanti  pronunce  dei giudici di merito e delle diverse
 sezioni  della  Cassazione),  fra  le  questioni  piu'  ricorrenti  e
 contrastate si pongono: a) la compatibilita' fra l'attivita' illecita
 posta  in essere e l'effetto lecito, che dalla stessa si fa derivare,
 dell'acquisizione al patrimonio della p.a. della  proprieta'  privata
 illegittimamente occupata; b) la natura del diritto che sorge in capo
 al  privato spogliato della proprieta': natura aquiliana o diritto di
 credito all'indennita' di espropriazione; c) regime  di  prescrizione
 del  diritto  di  cui  al  punto  b):  quinquennale  o  decennale; d)
 decorrenza della prescrizione:   dal  verificarsi  dell'irreversibile
 trasformazione   del   suolo,   ovvero  dal  compimento  del  termine
 quinquennale di durata massima dell'occupazione temporanea.
   Appare opportuno  premettere  che,  proprio  alla  luce  di  quanto
 affermato,  in  tema  di  decorrenza  della  prescrizione dalla Corte
 costituzionale con la gia' citata sentenza del maggio  1995  ("se  la
 irreversibile  trasformazione  del  suolo  sia avvenuta temporalmente
 all'interno del periodo di legittima  occupazione,  poiche'  e'  solo
 allo  scadere  del  termine  stesso  che  si  consuma  l'illecito, il
 proprietario ben sa che e' quello appunto il dies a  quo  dell'azione
 risarcitoria",  nella  fattispecie che occupa, la prescrizione sembra
 dover decorrere dal quinto anno successivo al decreto di  occupazione
 d'urgenza n. 174 del 10 ottobre 1981. Cio' rileva (incidenter tantum)
 ai  fini  dell'accertamento  della  rilevanza,  rispetto  al caso che
 occupa, dell'esame della legittimita' costituzionale di talune norme,
 la cui applicazione sarebbe superata pregiudizialmente da una diversa
 applicazione  della  decorrenza  della   prescrizione   quinquennale.
 Nell'introdurre  il  riferimento  alle  norme che dovranno costituire
 oggetto  del  sindacato  di   legittimita'   costituzionale,   appare
 opportuno  continuare  a  richiamare  taluni  dei principi confermati
 dalla recente sentenza n. 188/1995  della  Corte  costituzionale.  La
 suprema   Corte,  dopo  avere  affermato  che,  nello  schema  tipico
 dell'occupazione acquisitiva posta in essere in assenza di un formale
 provvedimento ablatorio,  l'intera  dinamica  degli  effetti  che  ne
 derivano  e'  contra  legem, ha ulteriormente chiarito che l'elemento
 qualificante  della  fattispecie  e'  l'azzeramento   del   contenuto
 sostanziale   del  diritto  e  la  nullificazione  del  bene  che  ne
 costituisce oggetto, in  conseguenza  della  materiale  manipolazione
 dell'immobile nella sua fisicita', che ne comporta una trasformazione
 cosi'   totale   da  provocare  la  perdita  dei  caratteri  e  della
 destinazione propria del fondo, il quale in estrema  sintesi  non  e'
 piu'  quello  di  prima.  Poi  la  Corte costituzionale, entrando nel
 merito della compatibilita' fra il verificarsi di un  fatto  illecito
 ed  il  correlato prodursi di un effetto traslativo della proprieta',
 ha individuato, nella  ricostruzione  dell'accesione  invertita,  due
 ambiti  (di  fenomenologie ed effetti giuridici) distinti e separati:
 a) da una parte, la perdita dei caratteri e della destinazione propri
 del fondo,  che  si  pone  in  rapporto  di  causalita'  diretta  con
 l'illecito  della  p.  a.;  b)  dall'altra,  l'acquisto, in capo alla
 medesima,  del  nuovo  bene,  risultante  dalla  trasformazione   del
 precedente,  acquisto  che  si  configura invece come una conseguenza
 ulteriore,  eziologicamente  dipendente  non  dall'illecito, ma dalla
 situazione  di   fatto   (realizzazione   dell'opera   pubblica   con
 conseguente  non  restituibilita'  del suolo in essa incorporato). La
 costruzione sistematica e' estremamente nitida ed  induce  infine  la
 Corte  costituzionale  (nel motivare la compatibilita' dell'accesione
 invertita con  l'art.  42  della  Costituzione)  a  radicalizzare  la
 contrapposizione  fra  la  condotta  di  occupazione ed irreversibile
 manipolazione del suolo (cui consegue l 'estinzione  del  diritto  di
 proprieta')  che  ha tutti i crismi dell'illecito e, per altro verso,
 l'acquisizione dell'opera di pubblica utilita' a vantaggio  dell'ente
 pubblico,   che  realizza  un  modo  di  acquisto  della  proprieta',
 espressione concreta della funzione sociale della stessa.    Da  tale
 radicale  contrapposizione  concettuale si evince l'impossibilita' di
 confondere il  momento  dell'illecito,  correlato  alla  perdita  dei
 caratteri  originari  del suolo ed alla conseguente inutilizzabilita'
 dello stesso da parte del proprietario,  con  il  momento  traslativo
 della proprieta', attinente alla funzione sociale dell'opera pubblica
 e  del  terreno che definitivamente la incorpora. L'impossibilita' di
 una compenetrazione dell'ambito che attiene  alla  condotta  illecita
 della  p.a.  con  l'ambito  attinente agli effetti leciti ed ablativi
 della proprieta' risulta inequivocabilmente confermata  dal  tipo  di
 diritto  che  viene  riconosciuto  al  privato  in  conseguenza degli
 effetti propri dell'accessione invertita: un diritto al  risarcimento
 del  danno  per  la  responsabilita' aquiliana, in cui incorre quella
 p.a.    che  ha  dato  luogo  alla  perdita  dei  caratteri  e  della
 destinazione  originari  del  fondo.  Dunque  la  natura  del diritto
 riconosciuto al proprietario non risente  del  parallelo  e  distinto
 ambito  degli  effetti leciti ed ablativi della proprieta'; ulteriore
 riprova  di  cio'  e'  il  termine   di   prescrizione   quinquennale
 attribuito, per costante giurisprudenza, al diritto di credito di cui
 diviene   titolare   il   proprietario  danneggiato  dall'occupazione
 acquisitiva.
   In contrasto con tale ineccepibile costruzione sistematica, operata
 dalla sent. n. 188/1995 della Corte costituzionale, si pone l'art.  1
 della legge n. 549/1995,  nello  stabilire:  "il  comma  6  dell'art.
 5-bis  del  d.-l.  11 luglio 1992, n. 359 e' sostituito dal seguente:
 le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in  tutti  i
 casi  in cui non sono ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita' dell'indennizzo o del risarcimento del danno alla  data  di
 entrata  in  vigore della legge di conversione del presente decreto".
 In forza di tale normativa, i criteri riduttivi di cui al citato art.
 5-bis,  gia'  stabiliti  per  la  determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione  sono  stati  estesi  alle ipotesi di risarcimento dei
 danni da  occupazione  acquisitiva  non  ancora  determinati  in  via
 definitiva.  Il legislatore ha cosi' infranto il delicato equilibrio,
 individuato dalla Corte costituzionale, su cui  poteva  reggersi,  in
 termini   di  compatibilita'  costituzionale,  la  coesistenza  della
 condotta illecita, posta in  essere  dalla  p.a.,  con  il  correlato
 effetto  lecito  dell'ablazione della proprieta'.  In particolare, e'
 stata normativamente compromessa quella necessaria distinzione fra il
 momento dell'occupazione ed  irreversibile  manipolazione  del  suolo
 (avente  i crismi dell'illecito) ed il momento acquisitivo dell'opera
 pubblica (attinente  alla  sfera  del  lecito).  Cio'  attraverso  il
 mutamento di fatto della natura del diritto di credito, che matura in
 capo  al privato, con il passaggio dello stesso da una configurazione
 istituzionale di tipo risarcitorio  (correlata  alla  responsabilita'
 aquiliana  della  p.a.) ad un ben diverso quadro di regolamentazione,
 tipico dell'indennita' da attivita' lecita', ovvero serio ristoro che
 viene assicurato  in  caso  di  espropiazione  legittima  (secondo  i
 criteri  riduttivi  di cui al predetto art. 5-bis), e che nulla ha in
 comune con la funzione (di  piena  reintegrazione  delle  diminuzioni
 patrimoniali  patite) propria del risarcimento del danno derivante da
 fatto illecito.  Tale confusione, fra componenti normative proprie di
 istituti  fra   loro   assolutamente   incompatibili,   si   presenta
 esplicitamente  espressa dal tenore letterale dell'art. 1 della legge
 n. 549/1995,  nella  parte  in  cui  si  dispone  che  i  criteri  di
 determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione,  di cui all'art.
 5-bis  del  d.-l.  n.  333/1992,  si  applicano  anche  ai  casi   di
 determinazione  del  risarcimento  del danno.   La contraddizione che
 all'interno dell'ordinamento  ne  deriva  e'  stridente,  venendo  ad
 essere   pregiudicata   nei   suoi  fondamenti  essenziali  la  netta
 distinzione fra la figura  giuridica  del  risarcimento,  consistente
 nella  compensazione  pecuniaria  del  danno (nella forma della piena
 reintegrazione  per  equivalente)  o  nella  sua  rimozione   diretta
 (risarcimento   in   forma   specifica)   e   la   figura   giuridica
 dell'indennizzo ex art.   42 della Costituzione,  consistente  in  un
 serio  ristoro,  la  cui  entita',  non  necessariamente  equivalente
 all'entita' della diminuzione patrimoniale  patita,  puo'  mutare  in
 relazione  ai  margini  di discrezionalita' politica che competono al
 legislatore. Cio' che e' precluso al legislatore e'  di  contraddirsi
 nell'affermare,   in   prima   battuta  che  il  diritto  di  credito
 riconosciuto al  privato  nei  confronti  della  p.a.  ha  natura  di
 risarcimento  del  danno ed, immediatamente dopo, privare il titolare
 di tale diritto della correlata facolta'  di  conseguire  l'integrale
 compensazione   pecuniaria  della  diminuzione  patrimoniale  subita,
 gravandolo  con  una  decurtazione  sul  quantum  debeatur,  che   e'
 assolutamente  incompatibile  con  il  generale principio del neminem
 laedere.
   Tutto quanto fin qui  esposto  deve  far  ritenere,  rispetto  alla
 fattispecie  che  occupa,  rilevante  il  sindacato  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1 della legge n. 549/1995,  nella  parte  in
 cui (riformulando il sesto comma, dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio
 1992,  n.  333,  convertito  nella  legge  n. 359/1992), con evidente
 riferimento alle fattispecie  di  "occupazione  acquisitiva"  (ovvero
 "accessione invertita") da parte della p.a., dispone che i criteri di
 determinazione  dell'indennita'  di espropriazione, dettati dall'art.
 5-bis  del  d.-l.  n.  333/1992,  si  applicano  anche  in  sede   di
 determinazione del risarcimento del danno.
   In  particolare,  con  riferimento alla citata norma, che regola la
 dedotta fattispecie di occupazione acquisitiva consumata  dal  comune
 di  Francavilla  Fontana  in  danno delle attrici, deve ritenersi non
 manifestamente infondata l'illegittimita' costituzionale della citata
 norma,  ponendosi  la  stessa  in  violazione  delle  seguenti  norme
 costituzionali e dei relativi principii:
   1. - Art. 3 della Costituzione.
   Per  costante orientamento della Corte costituzionale, il principio
 di uguaglianza affermato dall'art. 3 e'  un  principio  generale  che
 condiziona l'intero ordinamento, in tutta la sua obiettiva struttura,
 ed e' espressione di un "generale canone di coerenza dell'ordinamento
 normativo".  Dunque  anche  la  legge  e'  soggetta  al  principio di
 uguaglianza, nel senso  della  necessita'  di  una  coerenza  interna
 all'ordinamento.      Sotto   questo  profilo,  non  puo'  certamente
 considerarsi "coerente" affermare  il  diritto  del  proprietario  ad
 essere risarcito del danno e nel contempo ridurre unilateralmente, in
 favore dello Stato, l'entita' della risarcibilita' di tale danno.  Se
 il  legislatore avesse inteso prendere posizione riguardo alla natura
 del diritto conseguente all'ablazione della  proprieta'  per  effetto
 dell'accessione  invertita, ritenendo quest'ultima attivita' non piu'
 illecita, ma legittima e produttiva  del  diritto  all'indennita'  di
 espropriazione,   a   cio'  avrebbe  dovuto  procedere  con  coerenza
 sistematica, in primo  luogo  evitando  di  fare  uso  della  formula
 letterale  "determinazione...    del  risarcimento  del danno" ed, in
 secondo luogo, chiarendo  espressamente  la  natura  del  diritto  in
 questione.  Cio'  avrebbe  consentito  peraltro  di  pervenire ad una
 appropriata determinazione del regime di prescrizione  da  applicare,
 che  allo  stato  (alla  luce della consolidata giurisprudenza, anche
 costituzionale) resta ancora quello della  prescrizione  quinquennale
 per i diritti di risarcimento del danno.
   2. - Artt. 24 e 42 della Costituzione.
   La  proprieta'  privata  e'  riconosciuta  e garantita come diritto
 soggettivo e l'ordinamento assicura a tutti la possibilita' di  agire
 in  giudizio  per  la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi
 legittimi. Alla stregua di cio', non si  puo'  affermare  l'esistenza
 del diritto al risarcimento del danno (derivante dall'offesa arrecata
 al  diritto  di  proprieta')  e  contestualmente  privare il soggetto
 riconosciuto come titolare di tale diritto della possibilita' di  una
 difesa  sostanziale,  che consista nella effettiva perseguibilita' di
 una piena reintegrazione  pecuniaria  (per  equivalente)  dell'intera
 diminuzione  patrimoniale  patita. Cio' priverebbe di effettivita' il
 diritto costituzionale, riconosciuto al cittadino, di vedere tutelati
 i propri diritti patrimoniali pregiudicati dal fatto illecito altrui.
 Inoltre  il  principio  del  neminem  laedere  verrebbe   ad   essere
 parzialmente  svuotato  della  essenziale  componente  sanzionatoria,
 correlata  all'affermazione   del   principio   generale   di   piena
 responsabilita'.
   3. - Artt. 28 e 113 della Costituzione.
   L'arbitraria  riduzione  dell'entita'  del  danno  da  risarcire al
 privato, i cui beni patrimoniali siano stati danneggiati per  effetto
 di una condotta illecita della p.a., si traduce in una ingiustificata
 violazione  del  principio  di  piena  responsabilita'  civile  della
 pubblica amministrazione (art.  28),  nonche'  della  piena  relativa
 tutela giurisdizionale.
   4. - Artt. 10 ed 11 della Costituzione.
   La  limitazione  posta  al concreto esercizio del diritto di difesa
 della  proprieta'  privata,  rispetto  ai  fatti  illeciti   che   ne
 compromettono   l'integrita',   viola   la  necessaria  conformazione
 dell'ordinamento  giuridico   italiano   alle   "norme   di   diritto
 internazionale  generalmente  riconosciute"  (art.  10), nonche' alle
 norme dettate dalle organizzazioni internazionali alle quali lo Stato
 italiano aderisce con limitazioni della propria sovranita' (art. 11).
 In particolare, si configura un evidente contrasto con le norme della
 Convenzione europea predisposte per la tutela dei diritti economici e
 di  proprieta'.  A  tal  riguardo,  e'  sufficiente rammentare quanto
 dispone l'art. 1 del protocollo addizionale di Parigi 20  marzo  1952
 della  Convenzione  europea: "ogni persona fisica o morale ha diritto
 al rispetto dei suoi beni. Nessuno  puo'  essere  privato  della  sua
 proprieta',  salvo  che  per  causa  di  pubblica  utilita'  e  nelle
 condizioni previste dalla  legge  e  principi  generali  del  diritto
 internazionale".  Tale  norma  ricalca  l'art. 17 della dichiarazione
 universale dei diritti dell'uomo: "ogni individuo ha diritto di avere
 una proprieta' sua personale o in comune con altri. Nessun  individuo
 potra' essere privato della sua proprieta'".